Questo romanzo di Alberto Beruffi, intitolato “Una ragazza cattiva” è, a ragione, definito un thriller: la storia è infatti molto ben costruita, con un finale tutt’altro che scontato e con continui passaggi dal passato al presente – e viceversa – che hanno dato ritmo alla narrazione e che erano necessari a dare senso alla storia.
Quello che mi è piaciuto, però, di questo libro non è stata solo la trama e le vicende che, delitto dopo delitto, portano alla conclusione del caso.
Quello che ha lasciato il segno, o meglio i segni, è stato l’insieme di situazioni, evocazioni, emozioni, contesti che hanno fatto parte della mia adolescenza: gli anni ’80.
I personaggi sono tutti figli di quegli anni, anni che io ricordo, come molte persone della mia età, nell’esatto modo in cui sono descritti nel libro: anni in cui tutto sembrava possibile, anni in cui ci avevano detto che il futuro sarebbe stato radioso e che nulla di male sarebbe mai successo.
Nostalgia di un’epoca passata a parte, questo romanzo è sì un thriller, ma la storia su cui è costruito è una storia drammatica, di ingiustizia, di impotenza verso qualcosa che forse si poteva evitare, di sfiga verso chi – come sempre – non lo meritava e che lascia frustrazione e tristezza.
Una storia drammatica perché è anche una storia di vendetta, vendetta che però – come sempre – non rende davvero giustizia, non sconfigge il senso di colpa e non sistema nessun futuro.
Detto così, chi ancora non lo ha ancora letto, questo libro, potrebbe essere scoraggiato dal farlo: e sbaglierebbe, se non lo leggesse.
La storia è triste, è vero, ma è una storia bellissima, d’amore e di amicizia.
Una storia che non potete perdere.